Ti ascolto, amico mio



Leggo in uno studio molto recente che gli animali (gatti in questo caso particolare) che vivono con noi prendono molto della nostra personalità e modi di vivere. Secondo gli autori la personalità dell'essere umano va ad influire su quella dell'essere di cui si occupa, sia esso un figlio o una figlia, sia esso un animale da compagnia. Questo dovrebbe essere dovuto al fatto che tendiamo ad assumere con i nostri animali un ruolo parentale.
Quanto può essere positivo questo tipo di relazione per entrambe le parti? Quanto bisogno effettivo ha l'animale di essere accudito e in quali forme, e quanto invece è risultato della proiezione di un nostro bisogno?
E' evidente che convivere con un qualsiasi altro essere vivente condiziona tutti. Vivere con 6 compagni a quattro zampe ha enormemente influito sulla mia vita e non intendo solo le vacanze o l'acquisto del nuovo Folletto!
I ritmi sono scanditi anche in base ai loro tempi, e per quanto le gatte abbiano accesso libero a tutti gli spazi, esterni ed interni, 24 ore al giorno, ci sono delle routine che ci piace condividere. Non parliamo poi della mia ombra, l'unico maschio di casa, il cane.

Ma mi chiedo quante delle mie attenzioni sono davvero richieste e quante invece sono un mio bisogno.
Davvero un confine sottile quello dell'accudimento e del rispetto degli spazi e dell'individualità dell'altro.
La gestione delle risorse (il cibo, la casa) crea un rapporto non equilibrato per le parti e, anche solo biologicamente parlando, è davvero molto facile ritrovarci a fare i genitori di animali adulti e autosufficienti.

Il costo è proprio la mancanza del rispetto della personalità dei nostri amici pelosi, il non riconoscimento della loro individualità come soggetti autonomi.
Abbiamo imposto delle regole rigide di gestione degli animali che vanno a condizionare e schiacciare le regole naturali di convivenza tra animali.
E una società nevrotica come la nostra non potrà che dare origine ad animali nevrotici, ansiosi, aggressivi.
Non a caso, dallo studio di cui parlavo emerge una corrispondenza tra problemi comportamentali (aggressività, paura, ansia) e impossibilità di uscire liberamente al di fuori della casa, oltre alla corrispondenza con una personalità nevrotica del proprietario.
Proprietari estroversi e che danno la possibilità all'animale di uscire quando preferisce, hanno più probabilmente animali socievoli e meno aggressivi.
L'animale diventa così specchio della nostra personalità, dei meccanismi non funzionali da cui forse dovremmo partire per costruire benessere per tutti. Primi noi stessi.
Invece che diventare una risorsa, una splendida compagnia con cui arricchirci, diventa un modo per avvitarci intorno alle difficoltà preesistenti.
E il nostro animale, che non possiede gli strumenti per disinnescare la relazione, si adatta, come meglio può.

Con Kuzco, il mio Breton trovatello, andiamo spesso in montagna e per i boschi. La felicità e facilità con cui ci relazioniamo con gli altri mi dicono che questa è la strada giusta. Il modo giusto per accudire un cane che per strada non avrebbe avuto possibilità, che ha bisogno di un guinzaglio per non finire sotto le macchine quando siamo per strada, ma che non può rinunciare al suo diritto di correre, provare a prendere gli uccelli, abbaiare ai fantasmi che solo lui è in grado di vedere, dormire al caldo e avere la pancia piena.

Fidarsi non è sempre facile, ma la fiducia non deve arrivare da dentro di noi, ma da quello che vediamo. E allora osserviamoli, ci sapranno dire tanto.

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